Ciascuno di noi ha un genere musicale preferito: c’è chi ama il pop e chi adora il rock, chi preferisce il jazz oppure la musica classica, ma tutti incappiamo in canzoni come la “Macarena”, “Asereje” o “Amore e Capoeira”. Che ci piacciano o no, i tormentoni ci restano in testa e spesso finiamo col canticchiarli in macchina o sotto la doccia.
Le canzoni ci restano in testa perché i suoni ci gratificano
Le hits dell’estate funzionano perché hanno uno spartito particolare, capace di entrare in testa e rimanerci.
Le ricerche sulle scale musicali provano che i brani con una scala musicale in maggiore innalzano l’umore stimolando la nostra voglia di ballare. In questi casi entrerebbe in gioco un sistema noto, quello coinvolto nei meccanismi della ricompensa: il sistema dopaminergico.
Robert Zatorre, neuroscienziato cognitivista che lavora al Neurological Institute della Mcgill University di Montreal, sostiene infatti che i brividi (i “chills”, che generalmente chiamiamo “pelle d’oca”) causati dall’ascolto di un brano musicale particolarmente emozionante dipendono dalla dopamina.
Si è osservato che questa molecola media l’attivazione dei centri della gratificazione e della ricompensa, tra cui il nucleus accumbens, deputato ad elaborare sensazioni di piacere o paura, coinvolgendo la corteccia uditiva che conserva le informazioni sui suoni e sulla musica.
Quando la musica diventa un prurito cognitivo
Se la musica può provocare piacere fino quasi a creare una dipendenza, in altri casi si insinua con quello che i ricercatori chiamano “earworm” (dal tedesco “orwhwurm”, baco nell’orecchio), che descrive la capacità di una canzone di entrare nella testa fino a diventare un prurito cognitivo.
Secondo lo studio di Risonanza Magnetica Funzionale condotto dal Dr. David Kraemer e dalla sua squadra, l’effetto “earworm” si auto-alimenta perché stimola la corteccia uditiva del cervello attraverso la memoria di lavoro verbale.
In sintesi, le hits dell’estate hanno delle caratteristiche precise che servono in primo luogo ad attirare la nostra attenzione. Se poi vengono più volte ascoltate e cantate, passano dalla “memoria a breve termine” (o “memoria di lavoro”) al magazzino di memoria a lungo termine. Infatti, ripetere una canzone – spiega il Dr. James Kellaris della University of Cincinnati – incrementa il suo tempo di permanenza nel cosiddetto “loop fonologico” della memoria, provocando una specie di prurito cognitivo!
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