“Dottore! Dopo l’ictus mio marito si rade solo nella parte destra del viso, e mangia solo i cibi sulla destra del piatto!!!”, “Questa mano non è mia”, e ancora, “Anche se non c’è più, è come se sentissi ancora la mia gamba”.
Quelle citate, sono solo alcune delle descrizioni cliniche che familiari e pazienti riportano in seguito a traumi neurologici quali ictus ischemici/emorragici o altri tipi di accidenti vascolari localizzati in specifiche aree cerebrali.L’elevata compromissione nelle autonomie quotidiane che segue a tali eventi, getta spesso il paziente, e i cari che se ne occupano, in un vortice di frustrazione e arrendevolezza che conducono ad un progressivo isolamento della famiglia. La comprensione e la consapevolezza del deficit sono alla base dell’alleanza terapeutica riabilitatore-paziente-famiglia e quindi dell’efficacia dell’intervento.
Esistono alcuni strumenti di riabilitazione cognitiva in grado di ‘correggere’ tali disturbi e di spiegare i fenomeni clinici osservati. I presupposti sui cui si basano tali tecniche sono riconducibili ai fenomeni di plasticità cerebrale, ovvero di riadattamento, di cui il nostro cervello dispone e di cui è in grado di beneficiare con opportune stimolazioni.
Nello specifico esistono degli occhiali dotati di Lenti Prismatiche, ovvero di lenti con una deviazione prismatica verso destra di 20° (in figura), utilizzati per la riabilitazione del deficit di orientamento spaziale dell’attenzione tipico della sindrome da Negligenza Spaziale Unilaterale (NSU). Nella NSU il paziente ‘ignora’ (neglige) lo spazio alla sua sinistra, ovvero l’emilato controlaterale alla lesione che solitamente risiede nell’emisfero destro. Le lenti vengono utilizzate durante un compito di pointing visivo (puntamento sotto indicazione dell’operatore) con diverse modalità esecutive al termine delle quali, il soggetto è indotto a controbilanciare la deviazione causata dalle lenti e a correggersi spostandosi verso la sua sinistra per toccare il punto indicato. Tale correzione è in grado di permanere dopo la stimolazione e di riorientare così l’attenzione del paziente nell’emilato dello spazio ignorato (per l’appunto il sinistro). In altre parole il cervello viene ingannato dalla deviazione indotta verso destra dai prismi e cerca di compensare correggendo il pointing a sinistra. L’impatto che tale metodica ha nella vita quotidiana del paziente è evidente (nel mangiare, nel guidare, nel parlare, etc..). Analogamente il ‘mirror visual feedback’ induce un’illusione in colui che lo sperimenta che lo porta a considerare l’arto riflesso ‘incorporato’ in quello nascosto dietro lo specchio. In realtà, tale effetto è dovuto nuovamente a meccanismi di plasticità cerebrale che si basano sull’integrazione degli input visivi e propriocettivi. Il fenomeno è stato studiato inizialmente dal neuroscienziato V. S. Ramachandran negli amputati con sindrome dell’arto fantasma. Ramachandran, scoprì che il riflesso dell’arto sano nello specchio procurava al paziente una temporanea sospensione del dolore a livello del moncone (che per un principio di plasticità aberrante veniva ancora percepito). Da allora il feedback visivo viene usato nel dolore cronico e nella riabilitazione dei deficit dell’arto superiore e inferiore post ictus (paresi/plegia) per favorire il recupero funzionale dell’arto ‘ingannando il cervello’.
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